E la chiamano “Polverosa”…

Cronaca della mia seconda volta nel fantastico mondo delle “ciclostoriche”, aspettando Gaiole.

 

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Il rutilante mondo del ciclismo “eroico” è sempre più vivo e vitale, costellato com’è da nuovi eventi, ritrovi e pedalate riservati alle Signore d’antan (a due ruote, ovviamente). Quella di cui vi vado a raccontare però è una delle manifestazioni più anziane, se non ho capito male seconda solo all’Eroica per numero di edizioni corse. E poiché si svolge a Montechiarugolo di Parma, relativamente vicino a casa, decido che l’occasione è da cogliere: parteciperò.

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L’hanno chiamata “La Polverosa”, e chi ha mai pedalato in estate su qualche strada bianca ne coglie istantaneamente il motivo. Questa volta però… Ma andiamo con ordine.

Undici giugno 2016, carico la family in auto e mi avvio verso la meta parmense. Il piano è: ceniamo il sabato alla festa di Montechiarugolo – l’evento dura 3 giorni -, dormiamo in zona e il mattino dopo via sui “polverosi” colli parmensi con la cavalcatura d’epoca. Solo il sottoscritto però: alla family ho promesso una più rilassante domenica mattina alle terme di Monticelli.

Le aspettative meteo sono sul brutto andante, ma saranno le minacce legali da parte degli albergatori riminesi, fatto sta che i vari siti di previsioni sono tutt’altro che categorici, e resta latente una speranziella di “heavy cloud but no rain” come cantava Sting (lo so, ‘sto pezzo lo conosco solo io).

Il risveglio con il rombo del tuono non promette una giornata asciutta, e quando esco le “clouds” sono effettivamente piuttosto “heavy”, anche se non piove. Saluto la family e auguro loro una buona mattina nelle calde piscine solforose di Monticelli Terme. Si parte.

lucianoberrutti-1A Montechiarugolo tutto è pronto: mercatino d’epoca d’ordinanza, striscioni pubblicitari, foto di Coppi, c’è perfino qualche mito in carne ed ossa, il parmense Vittorio Adorni che tanto lustro ha dato al nostro ciclismo. Noto anche la presenza sulla linea di partenza di “Mr. Eroica”, ovvero Luciano Berruti, l’uomo che fisicamente incarna il mondo del ciclismo storico, anzi, ne è il vero testimonial. Ci scambio due parole: è come se a un GP di F1 avessi fraternizzato con Niki Lauda! (Esagero?)

Capitolo bici. Rispetto alla prima esperienza ho a disposizione una cavalcatura nuova (si fa per dire), sempre in prezioso acciaio, sempre equipaggiata con gli immancabili componenti Campagnolo. E’ una Olmo, nobile schiatta, risalente ai tardi anni ’80, da me assemblata come sempre a partire dal telaio e dai singoli componenti.

E’ ora: si parte. Le nuvole nere all’orizzonte sono presagio di diluvio, ma ancora non piove. Il primo tratto è totalmente pianeggiante, e volo a centro gruppo. Appena si avvicinano le prime colline, ecco anche i primi goccioloni stamparsi sulla maglia iridata in lanetta. Non faccio in tempo a infilare la mantellina che si aprono le cateratte del cielo. Aggiungi che la strada si impenna e capisci perché mi trovo a chiedermi seriamente per quale dannato motivo non mi trovo in una calda piscina solforosa.

I compagni “tosti di gamba” vanno via agili, io mi trovo a spingere a mano la bici in un universo liquido, su un asfalto in salita che le scarpe (sbagliate) fanno sembrare sapone. E’ solo una rampa, riprendo a fatica una più dignitosa postura – ovvero in sella – e mi avvio verso il primo, agognato ristoro.

C’è solo un piccolo problema: mi sia sta allentando il movimento centrale. Leggi: ballano le pedivelle! Proprio un bel momento per rendermi conto che come meccanico non sono un granché, anche se stavo cominciando a illudermi del contrario… Comunque arrivo al ristoro, dove tra salamelle, mortadelle e lambrusco mi dicono che:

  1. Non hanno attrezzi per sistemare il problema
  2. La parte più dura deve ancora arrivare
  3. Se voglio mi posso far accompagnare al traguardo dal “camion scopa”

Che fare? Arrendermi? Giammai! Ci provo, magari il movimento non si svita del tutto. Notare che sono a meno di un terzo di un giro da più di 70 Km… E invece va sempre peggio. Meglio rinunciare, rischio danni gravi al mezzo, senza la prospettiva di arrivare da nessuna parte. Giro la bici e torno al ristoro, dove mestamente la caricano su un furgone e me su un pulmino che mi riporta al traguardo.

Scopro però che il camion scopa, diversamente dal sottoscritto, segue la corsa fino alla fine, cosa che si traduce in un’attesa di più di 3 ore per riavere la bici. Meno male che almeno è uscito il sole… Dopo aver imparato a memoria tipo, quantità e prezzo degli articoli proposti dai banchetti del mercatino, vado a prendere la family alle terme, poi torno a Montechiarugolo per ritirare la Olmo. Il Pasta party mi scrolla di dosso gli effetti di una mattinata da dimenticare; ancora due tortelli e poi via verso casa.

Che dire? Trattasi di esperienza. Negativa, si, ma esperienza. E dall’esperienza si impara a migliorare. Ora so, come se ci fosse il bisogno di questo per capirlo,  che “collina” non è meno dura di “montagna”, anzi, le distanze più brevi rendono i dislivelli più impervi. Il problema vero è che mi illudo di “fare gamba” da salita con 2/3 pedalate in pianura alla settimana… Secondo: ahimé sono un meccanico modesto, se durante una corsa mi si smonta la bici. La lezione è: collaudala bene prima, e nel dubbio falla vedere a chi questa cosa la fa di mestiere. Ultimo: se a Montechiarugolo piove, e tanto, “La Polverosa” è un nome al limite dell’irridente.

Gaiole, arrivo. E che Dio me la mandi buona.